sabato 27 gennaio 2018

Il labirinto del tempo

Se avesse dovuto prevedere il futuro, lo avrebbe fatto il giorno stesso in cui gli accadimenti acquistavano il senso della realtà. 
Era un uomo disposto a perdonare ogni colpa, comprese le sue, alle quali non cedeva un centimetro di benevolenza. Jambulani possedeva  un concetto del giudizio che era considerato da tutti, madonne e santi compresi, augurale e denso di sana saggezza. 
Da trentaquattro anni, sette mesi, ventotto giorni era il guardiano riconosciuto e benemerito della concessione di Monsieur Socrates. Rispondeva se veniva interrogato, esprimeva giudizi se gli venivano chiesti, avanzava richieste solo dopo aver constatato che erano imbullonate al senso di realtà svagato che regnava a Ngao. Non si era mai allontanato dalla concessione: solo una volta era arrivato fino al grande fiume con il camion della proprietà, ma gli era sembrato un viaggio tanto denso di interrogativi che si promise che non lo avrebbe mai più fatto. Conservava nel cuore e nell'anima la lista perpetua delle cose che la vita gli aveva riservato; ogni sera, prima di coricarsi assieme alla vecchia moglie Josephine, redigeva un bilancio la cui perentorietà sfiorava la penitenza. 
Zenone lo considerava l'uomo più leale, retto e onesto  che avesse mai conosciuto tant'è che una sera ebbe una discussione con Padre Anselmo che sosteneva che nessun uomo poteva competere con le virtù di San Francesco. Zenone ricordò al prete che il santo al principio era stato un puttaniere e aveva condotto una vita da soldato. Si era redendo ribatté Padre Anselmo. E Zenone contrattaccò dicendo che Jambulani non aveva nemmeno bisogno di redimersi perchè la sua vita era stata come lo specchio che rimanda l'immagine perfetta di ciò che si è. 
Chiamarono Jambulani per chiedergli cosa ne pensasse della vita e cosa si aspettasse da essa. Li guardò entrambi: sapeva da sempre che qualcuno un giorno gli avrebbe posto quella domanda.
<<La vita si perde nel labirinto del tempo. Dobbiamo cercarla ogni giorno. E solo vivendola la ritroveremo.>>
E sparì dietro il grande mango. Anni dopo, in punto di morte, Padre Anselmo si ricordò del labirinto di Jambulani: e morì senza sapere perché si era perso da sempre. 

martedì 16 gennaio 2018

Regine


Regine era certamente la donna più bella di Ngao. Nessuno ne dubitò mai, nemmeno il giovane missionario che in bicicletta partendo da Ndongo veniva due volte all’anno a dire messa.  Si chiamava Herman, era un belga di Marcinelle; era nato con il colore grigio della città stampato in faccia e con la tristezza da eterno girovago dell’anima.
Regine, che vagabondava da un cuore all'altro lasciando piaghe di passioni inguaribili, era sempre in prima fila e guardava il povero pretino come un’occasione per affrancarsi da una vita scalcagnata che lei, bellissima regina d’Africa, l’aveva confinata in quel merdaio da fine del mondo.  Sapeva che i preti non potevano sposarsi ma sapeva che potevano avere figli: che lei avrebbe accudito e educato mentre lui diceva messe, battezzava neonati, sotterrava vecchi, confessava le vecchie e soprattutto pregava Dio.
Si disse che non era peccato perché non c’è nulla di male a offrire la propria bellezza ad una giusta causa e la bellezza è un dono di Dio  agli uomini: e lei la distribuiva.  
Lui la vide mentre si inginocchiava devota rivolgendo preghiere accorate alla madonna.  Sollevava la lunga gonna che si tirava come una corda d’arco nel tentativo di seguire le linee perfette delle natiche e alzando lo sguardo e le braccia al cielo per invocare l’intercessione della protettrice delle donne perse, mostrava un seno contundente che sembrava un sogno da notte d’agosto.
Ma Regine, seguendo un disegno da pitonessa in amore, non andava in chiesa per offrire preghiere ma per lanciare al povero Herman sguardi tanto penetranti che ben presto il missionario fu precipitato nel pozzo del desiderio più indegno senza avere nessuno rimedio pronto all’uso se non quello di commettere un atto impuro che prevedeva solo due varianti: da solo o con Regine. Non sapeva che fare. L’incertezza lo rendeva insonne. Fin quando Regine decise di confessarsi.
Il confessionale fu subito invaso dal profumo di lei e il povero prete lo sentì penetrare fin dentro i muscoli che in un attimo le parvero più forti e resistenti. Poi vide che Regine appoggiava la sua bocca perfetta alla grata del confessionale sospirando e gemendo. Allungò una mano e sentì le gambe tremolanti del povero uomo. Risalì e sentì che Dio si manifestava anche in modi diversi da quelli che gli avevano raccontato da piccola.
Si confessò mentre la sua mano rendeva lode al signore e poi quando Herman mugugnò qualcosa che non lei non comprese ma che aveva il senso del perdono e della penitenza assieme, lo trascinò in sacrestia dove fecero un amore garibaldino dove tutto aveva il senso della provvisorietà africana, anche i baci dati e ricevuti.
Quando tornarono in sé, c’era un pappagallo che li osservava e un severo Santo Ignazio da Loyola che li guardava torvo pronto per emettere una sentenza di morte. Regine si alzò di scatto e mostrando il corpo destinato a scardinare le passioni più spudorate, girò il quadro del santo e cacciò via il pappagallo.
<<I santi non sanno niente dell’amore. Perché lo hanno predicato e mai fatto. Se non lo fai non lo sai.>>
E Herman si trovò d'accordo. Su tutto e per sempre. 

sabato 13 gennaio 2018

Alla fine del tempo

Seduto sulla balza, avvolto dal vento che preannunciava il temporale che si dimenava già in lontananza, guardò la grande palma che indicava il nord, là dove c'era il senso della sua memoria. 
Ebbe un sussulto, e tra i tanti ricordi che crollarono come un vecchio muro scosso dal terremoto della memoria, rivide la sua vecchia madre che,  in preda al delirio di una vecchiaia schiacciata dall’indegnità della malattia, scomponeva e ricomponeva le lettere e le fotografie che custodiva in una vecchia scatola di legno.
Ce n’era una che marchiava come una lama rovente l’anima di Zenone. Sua mamma, giovane e sorridente posava con lui piccolissimo dinanzi alla torre dell’orologio. Sembrava una bambina. Il sorriso smorzava la donna che era, gli occhi da madre brillavano e lo sguardo vedeva il futuro.
La rivide nella sua vecchiaia da bambina usurpata dal tempo cagone e vigliacco che ogni giorno le strappava lembi di ragione e dignità usurpando della sua bellezza.  
Senti la morsa dello sconforto e della sconfitta, perché a due cose gli uomini non possono opporsi: al tempo e all’amore.

Si alzò e andò verso la palma: la abbracciò. E senti il profumo di gelsomino che invadeva la cucina mentre guardava sua madre sorridere alla vita. E capì che il tempo aveva vinto. Si arrese e pianse come solo i vecchi sanno fare quando sentono i passi della morte avvicinarsi.